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Come il testo biblico è giunto fino a noi

La Bibbia non è un libro come tutti gli altri, è Parola di Dio!
I manoscritti originali del testo biblico sono stati scritti migliaia di anni fa da autori diversi, in luoghi diversi e in epoche diverse sotto l’efficace azione ispiratrice e coordinatrice dello Spirito Santo.
Ma dopo tutto questo tempo come hanno fatto a giungere nelle nostre mani? Proviamo a dare una risposta a questa domanda tracciando una breve cronistoria degli eventi principali.


Il testo dell’Antico Testamento

Il testo ebraico dell’Antico Testamento è sopravvissuto attraverso i secoli e giunto fino a noi, grazie allo scrupoloso lavoro degli antichi scribi, i quali hanno continuato a produrre copie fedeli dei preziosi manoscritti in loro possesso, tramandandoli di generazione in generazione.

A partire dal VIº sec d.C. gli scribi furono succeduti da un gruppo di studiosi ebrei, noti come Masoreti (da Masora = tradizione), che continuarono ad operare con lo scopo di ‘fissare’ definitivamente il testo sacro, in modo da preservarlo e trasmetterlo nella forma più integra possibile. È dal nome di questi studiosi che ancora oggi il testo ebraico dell’A.T. viene comunemente chiamato Testo Masoretico.

In quell’epoca esistevano diversi centri di attività dei Masoreti, ma intorno al X° sec., quello che assunse la posizione predominante fu quello di Tiberiade, grazie alla scuola guidata dalla famiglia ben Asher; fu così che, attraverso susseguenti edizioni, nel XIIº sec. il testo ben Asher giunse ad essere l’unico testo riconosciuto delle scritture ebraiche.

La prima edizione a stampa di una Bibbia ebraica risale al 1488, stampata in Italia a Soncino (vicino a Cremona), ma l’edizione più importante dell’epoca, e che è stata utilizzata come testo ‘standard’ fino al XXº sec., è la Seconda Bibbia Rabbinica di Jacob ben Chayyim (Venezia 1524/25). Basata su manoscritti del tardo medioevo, questa edizione venne poi sostituita a partire dal 1937 dalle edizioni della Biblia Hebraica di Rudolf Kittel (BHK) e dalla Biblia Hebraica Stuttgartensia (BHS 1967/77), basate sul manoscritto più antico in nostro possesso dell’intero testo ben Asher, il manoscritto B19A del 1008 d.C., detto anche Codice di Leningrado.

L’assenza di manoscritti completi più antichi dell’anno 1000 si spiega con il fatto che gli studiosi ebrei, una volta raggiunto l’accordo su un testo, distruggevano i precedenti. Il ritrovamento dei famosi manoscritti di Qumran, risalenti ad un periodo dal III° sec. a.C. al IIº sec. d.C., ha comunque confermato l’attendibilità e l’accuratezza del testo masoretico del 1008 d.C.

Attualmente gli studiosi sono al lavoro per la realizzazione di una nuova edizione del testo ebraico, la cosiddetta Biblia Hebraica Quinta (BHQ – della quale, a partire dal 2004,  ne sono stati già pubblicati diversi volumi), sempre basata sul Codice di Leningrado e con un apparato di note notevolmente ampliato rispetto al passato.

Il testo del Nuovo Testamento

Per quanto riguarda il Nuovo Testamento, abbiamo oggi a disposizione una quantità straordinaria di manoscritti che ne attestano la sua integrità: oltre 5.600 manoscritti greci (senza contare gli altri 16.000-18.000 in latino e altre lingue), alcuni dei quali, distanti dagli originali solo pochi decenni. Si tratta della più vasta documentazione oggi esistente relativa ad uno scritto dell’antichità, molto di più di qualsiasi altra opera letteraria del mondo classico.
Quando si sente parlare di ‘testi originali’ è utile specificare che non ci si riferisce ai documenti autografi dei vari scrittori del Nuovo Testamento, in quanto andati completamente perduti (discorso valido anche per qualsiasi altra opera classica), ma a quelle copie di copie realizzate a mano attraverso i secoli e pervenute fino a noi, le quali compongono la nostra fonte documentativa.

Tale ricchezza di manoscritti, però, non venne presa molto in considerazione fino agli inizi del XVI° secolo. Ciò era dovuto principalmente al grande prestigio di cui godeva la Vulgata latina di Girolamo (traduzione degli inizi del V° sec.), la quale veniva spesso usata come testo base per le prime traduzioni della Bibbia nelle varie lingue popolari. Un altro indicatore della scarsa considerazione che si aveva allora per i manoscritti greci del Nuovo Testamento, è dato dal fatto che, sebbene l’invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg risalga al 1451 e che nel corso dei cinquant’anni successivi furono stampate numerose edizioni della Bibbia (sia in latino, sia in altre lingue), bisognò aspettare fino al 1516 perché potesse vedere la luce la prima edizione del Nuovo Testamento greco. È da quel momento in pratica che si può cominciare a tracciare la storia del testo greco del Nuovo Testamento, della quale riportiamo qui di seguito le tappe fondamentali.

Fu il cardinale di Toledo, Francisco Ximenes, a promuovere per primo, nel 1502, l’edizione a stampa del Nuovo Testamento greco, all’interno dell’ambizioso progetto di un’edizione poliglotta in più volumi di tutta la Bibbia, la cosiddetta Bibbia Complutense (opera portata a termine nel 1517). Il Nuovo Testamento, che ne costituiva il V° volume, venne stampato nel 1514, ma non poté essere pubblicato fino all’ottenimento dell’approvazione papale, approvazione che arrivò solamente nel 1522, quando i manoscritti prestati dalla Biblioteca Vaticana fecero ritorno a Roma.
Intanto, nel 1515, l’editore Froben di Basilea, avendo fiutato la possibilità di un buon affare, commissionò al celebre umanista Erasmo da Rotterdam la preparazione di un testo greco del Nuovo Testamento. Dopo soli dieci mesi, il 1° marzo 1516, venne pubblicato e messo in vendita il Novum Instrumentum omne di Erasmo, ottenendo così, editore e curatore, il vanto della prima edizione del Nuovo Testamento greco.
Erasmo procedette in gran fretta, utilizzando come base per il suo lavoro solo pochissimi codici del XII°-XIII° secolo che aveva a sua disposizione a Basilea. A tali manoscritti vi apportò le dovute correzioni e li mandò direttamente in stampa; il risultato ottenuto fu, perciò, quello di un testo, che lui stesso più tardi affermò essere “messo giù precipitosamente piuttosto che stampato con cura editoriale”, arrivando per esempio al punto, disponendo di un codice al quale mancava l’ultimo foglio, di operare lui stesso una retrotraduzione degli ultimi versetti dell’Apocalisse, dalla Vulgata latina in greco, producendo in questo modo un testo che non trova alcun riscontro in nessun altro manoscritto esistente.
Questa edizione fu comunque apprezzata da molti, tanto che negli anni successivi ebbe altre quattro riedizioni, riviste e corrette dallo stesso Erasmo.

Delle successive edizioni che portarono avanti il lavoro intrapreso da Erasmo, quelle che esercitarono il maggiore influsso, furono, nel XVI° sec., quelle curate dal francese Robert Estienne e, nel XVII° sec., quelle della famiglia di tipografi Elzevier. Del primo ricordiamo qui l’edizione del 1551, nella quale per la prima volta viene introdotta la suddivisione del testo in versetti numerati (la stessa che usiamo ancora oggi), e dei secondi, quella del 1633, presentata al pubblico, con un abile ‘slogan pubblicitario’, come Textus Receptus (= testo accolto). Infatti, nella prefazione latina di questa edizione scrissero: “Ora, dunque, hai un testo accolto da tutti, nel quale non presentiamo niente di cambiato o corrotto”.
Da allora in poi l’espressione Textus Receptus viene utilizzata per riferirsi a tutte quelle edizioni che si attengono al testo di Erasmo.

Per diverso tempo l’autorità del Textus Receptus fu pressoché totale e indiscussa, ma a partire dalla fine del 1600, si cominciò ad esprimere una certa forma di critica velata nei confronti di tale testo; si prepararono infatti edizioni del Nuovo Testamento per le quali il numero dei manoscritti utilizzati risultava sempre maggiore, e corredandole inoltre di un apparato nel quale erano annotate le varianti in essi riscontrati.

Agli inizi del 1700 si passò ad un approccio più diretto, non limitandosi solo a segnalare le varianti conosciute, ma anche a dichiarare quali di queste erano superiori al Textus Receptus o addirittura a correggerne direttamente il testo inserendovi le lezioni migliori, cosa che fecero gradualmente i vari Wells (1709-1719), Bengel (1734), Wettstein (1751-52) e Griesbach (1755-77).

Una netta presa di posizione di distanza dal testo di Erasmo, si ebbe però solo alla fine del secolo successivo, quando il tedesco Costantin von Tischendorf, pubblicò una sua edizione del Nuovo Testamento (la Editio octava critica maior del 1869-1872), basata soprattutto su un manoscritto del IV° secolo, da lui stesso rinvenuto alcuni anni prima nella biblioteca del monastero di S. Caterina sul Sinai, il cosiddetto Codice Sinaitico.

Alcuni anni dopo, nel 1881, gli studiosi inglesi B.W. Westcott e J.A. Hort, stamparono una nuova edizione del Nuovo Testamento (The New Testament in the Original Greek) la quale teneva conto soprattutto di un altro codice del IV° secolo, il cosiddetto Codice Vaticano.

A seguito di questi lavori, nel 1898, il tedesco Eberhard Nestle pubblicò la prima edizione del suo Novum Testamentum graece, per la redazione del quale eseguì un accurato lavoro di confronto proprio tra i testi proposti dal Tischendorf e da Westcott e Hort; fu a partire da allora che il Textus Receptus venne comunemente ritenuto superato e quindi ‘abbandonato’.
Il lavoro editoriale del Nestle, a partire dalla 13ª edizione del 1927, passò al figlio, Erwin Nestle il quale si adoperò alla preparazione di un apparato critico (inteso come la descrizione dei ‘criteri’ usati per scegliere una determinata variante e la segnalazione di tutte le altre presenti negli altri manoscritti) sempre più completo. A questo lavoro incominciò a collaborare, a partire dalla 21ª edizione del 1952, anche il prof. Kurt Aland. A questo punto il testo viene chiamato comunemente Nestle-Aland e nel 1963, con la 25ª edizione, si giunge alla pubblicazione di un testo che comincia ad essere riconosciuto come una sorta di testo ‘standard’, perfezionato poi ancora con le successive edizioni (la 26ª del 1979, la 27ª del 1993 e la 28ª del 2012).

Un’altra edizione viene pubblicata, a partire dal 1966, su iniziativa della UBS (United Bible Societies) col titolo di The Greek New Testament. Si tratta di un’edizione semplificata, per traduttori e studenti, curata da un comitato di studio presieduto sempre da K. Aland., ed alla quale ne sono seguite una seconda (1968) una terza (1975), una quarta (1993) e una quinta edizione (2014).

Con la pubblicazione della 3ª edizione del Greek New Testament e della 26ª edizione del Nestle-Aland si assiste all’unificazione del testo greco del Nuovo Testamento; queste edizioni, infatti, (come pure la 5ª e la 28ª, oggi in uso) appaiono uguali nel testo, differenziandosi solamente per l’apparato critico a piè pagina.

Recentemente sono state pubblicate due nuove edizioni del Nuovo Testamento greco:
The Greek New Testament: SBL Edition (SBLGNT), prodotto e pubblicato dalla Society of Biblical Literature nel 2010 e curato da Michael W. Holmes
The Greek New Testament Produced at Tyndale House, Cambridge (THGNT), curato da Dirk Jongkind e Peter Williamsprodotto da Tyndale House e pubblicato da Crossway e Cambridge University Press nel 2017.
Entrambe le edizioni si scostano leggermente dalle edizioni basate sul Nestle-Aland, sia a livello testuale (principalmente scelte ortografiche o tipografiche) che a livello di apparato critico.

Volendo riassumere in poche righe tutto questo lungo processo storico, possiamo dire che il testo greco del Nuovo Testamento si può presentare sotto tre principali forme diverse:

  1. Il cosiddetto Textus Receptus, il testo greco adottato da Erasmo e dal quale derivano per esempio la traduzione italiana di Giovanni Diodati e l’odierna Nuova Diodati. Questo testo si basa su un grande numero di manoscritti perlopiù tardivi e appartenenti all’area bizantina.
  2. Il cosiddetto testo Nestle-Aland (chiamato anche “testo critico” a causa del metodo di critica testuale utilizzato per cercare di risalire il più vicino possibile al testo originale) e sul quale si basano per esempio la Riveduta e la Nuova Riveduta. Tale testo si basa su un numero più limitato di manoscritti, ma decisamente più antichi, appartenenti all’area alessandrina (da qui anche il nome di “testo alessandrino”).
  3. Il cosiddetto Testo Maggioritario. Questo testo è realizzato partendo dal presupposto che la migliore lezione disponibile è quella che ha il maggior numero di manoscritti che la documentano. Essendo i manoscritti della tradizione bizantina quelli più numerosi, ne consegue che si tratta di un testo molto simile al Textus Receptus, e dal quale se ne discosta solamente per quel numero esiguo di letture in esso contenute supportate da solo pochi documenti.

Molto si è scritto e discusso riguardo a questi argomenti, cercando di dimostrare che una tale forma, o talaltra, fosse quella più vicina ai testi autografi degli scrittori del Nuovo Testamento, ma spesso ne sono scaturite delle sterili polemiche senza ‘vincitori, né vinti’ che non hanno ottenuto altro risultato se non quello di confondere, o addirittura scoraggiare, il semplice lettore della Parola di Dio.

Quello che spesso non si fa, quando si parla di varianti del testo greco del Nuovo Testamento, è spostare l’attenzione su quanto invece abbiamo di certo e sicuro. È indiscutibilmente vero che oggi disponiamo di un grandissimo numero di manoscritti e che questi spesso non sono in perfetto accordo tra di loro (d’altronde le fotocopiatrici non erano ancora state inventate, e nel lavoro di copiatura a mano, l’errore o la distrazione può essere sempre in agguato, come anche l’eccesso di zelo di un copista), ma dobbiamo anche puntualizzare che queste discrepanze, in confronto all’intero testo del Nuovo Testamento, costituiscono solo una piccola percentuale. Lo stesso Hort, uno dei promotori della critica testuale, dopo lunghi anni di studi e ricerche scrisse: “i 7/8 del testo del Nuovo Testamento sono certi oltre qualsiasi dubbio e perlopiù, il rimanente 1/8 consiste di divergenze di poca importanza” precisando inoltre che le varianti di sostanza, quelle cioè che possono cambiare il senso ad una frase “costituiscono solamente 1/1000 di tutto il testo”.

Delle circa 200.000 varianti conosciute, quindi, solo 200 possono avere una certa rilevanza, ma nemmeno una di queste è tale da mettere in discussione una sola delle dottrine contenute nella Parola di Dio. Da ciò ne consegue che le varianti del Nuovo Testamento possono essere importanti dal punto di vista filologico, ma non dal punto di vista teologico o dottrinale.

Questa è una delle conferme di come Dio, nel corso della storia, abbia meravigliosamente vigilato sulla Sua Parola per far giungere all’uomo quello che era e che è la Sua completa rivelazione.